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Nella Striscia di Gaza, la risposta militare israeliana agli attacchi di Hamas e Jihad islamica del 7 ottobre 2023 al 6 giugno 2025 ha mietuto 54.607 vittime palestinesi, almeno il 55% delle quali sono donne, anziani e minori. Il 92% delle unità abitative è distrutto o gravemente danneggiato; almeno 1.1 milioni di persone hanno bisogno urgente di un riparo, e le restrizioni all’accesso degli aiuti umanitari imposte da Israele rendono estremamente difficile procurarsi beni di prima necessità quali acqua, cibo e medicinali. La violenza militare non ha risparmiato gli ospedali: solo 17 delle 36 strutture ospedaliere della Striscia sono (parzialmente) funzionanti e i restanti presidi sanitari non sono in grado di garantire le cure essenziali, a causa delle precarie condizioni di sicurezza e della scarsità delle forniture mediche. Tra le 10.500 e le 12.500 persone, tra cui almeno 4.000 bambini, hanno urgente bisogno di essere evacuati per ricevere cure mediche non disponibili nella Striscia.
(https://www.ochaopt.org/content/reported-impact-snapshot-gaza-strip-4-june-2025).
In Cisgiordania e a Gerusalemme est, le misure repressive dell’Autorità occupante che da 58 anni condizionano la vita dei palestinesi sono state ulteriormente inasprite, portando all’uccisione di almeno 986 palestinesi, all’arresto di almeno 17.000 presunti membri della resistenza palestinese, alla deportazione o al trasferimento forzato di almeno 40.000 persone, incluse migliaia donne e bambini. La violenza dei coloni dilaga nell’indifferenza, se non con la connivenza, delle truppe occupanti
(https://www.ochaopt.org/content/west-bank-monthly-snapshot-casualties-property-damage-and-displacement-april-2025, 27 maggio 2025 e https://www.arabnews.com/node/2600846/middle-east, 15 maggio 2025).
La condotta israeliana è stata aspramente criticata, fra gli altri, dal Segretario generale Antonio Guterres, da diversi Rappresentanti speciali delle Nazioni Unite, dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU, oltreché dalla Commissione indipendente d’inchiesta per il Territorio palestinese occupato.
Il 19 luglio 2024, la Corte internazionale di giustizia (CIG) delle Nazioni Unite ha reso (su richiesta dell’Assemblea generale) un parere sulle conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e prassi d’Israele nel Territorio palestinese occupato, inclusa Gerusalemme est. La CIG ha riconosciuto che la costruzione e l’espansione delle colonie, le restrizioni alla libertà di movimento e le demolizioni di proprietà palestinesi nel Territorio palestinese occupato, la costruzione del Muro, le confische e requisizioni di terreni palestinesi, l’estensione della legislazione israeliana a Gerusalemme est e nelle colonie, l’adozione di leggi discriminatorie nei confronti dei Palestinesi, lo sfruttamento delle risorse naturali e le deportazioni forzate dei Palestinesi non costituiscono solamente una violazione delle norme internazionali sull’occupazione, ma integrano anche una violazione grave del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, del divieto di acquisizione territoriale attraverso la minaccia e l’uso della forza e dell’art. 3 della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, che vieta la segregazione razziale e l’apartheid. Tali prassi e politiche hanno reso illegale la presenza stessa, civile e militare, di Israele nel Territorio palestinese occupato. Ne discende, secondo la Corte, l’obbligo per Israele di porre fine, il più rapidamente possibile, alla sua presenza illegale nel Territorio palestinese, smantellando le colonie, ritirando le proprie truppe, e smettendo di esercitare qualunque forma di controllo effettivo sul Territorio palestinese. Si tratta di un obbligo assoluto, che non può essere condizionato in alcun modo all’esito del negoziato con i Palestinesi, né alle ragioni di sicurezza invocate da Israele.
Come chiarito dalla stessa Corte, l’accertamento della responsabilità israeliana per queste gravi violazioni di norme di diritto internazionale cogente comporta anche una serie di importanti conseguenze in capo agli Stati terzi. In base alle norme di diritto internazionale generale codificate negli articoli 41 e 42 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati elaborato dalla Commissione del diritto internazionale nel 2001, essi hanno l’obbligo di non riconoscere come lecita la situazione derivante dalla presenza di Israele nel Territorio palestinese, e sono tenuti a non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione. Essi devono inoltre cooperare per porre fine a tale situazione. La rilevanza di tali obblighi è stata ribadita anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella risoluzione ES-10/24 del 18 settembre 2024.
Al contempo, l’accertamento dell’esistenza di un rischio imminente di genocidio effettuato dalla CIG nell’ordinanza cautelare resa il 26 gennaio 2024, nell’ambito della controversia Sudafrica c. Israele, sollecita la responsabilità degli altri Stati parte della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio (fra cui l’Italia), sui quali grava l’obbligo di fare tutto quanto è in proprio potere per prevenire la commissione di un genocidio, o per porre fine a un genocidio in corso.
Come la stessa CIG ha riconosciuto nell’ordinanza cautelare resa il 30 aprile 2024 nella controversia Nicaragua c. Germania, inoltre, il diritto internazionale impone agli Stati terzi obblighi precisi in relazione al trasferimento di armi ad una parte in conflitto, allo scopo di evitare il rischio che tali armi vengano utilizzate in violazione del diritto internazionale umanitario e della Convenzione contro il genocidio.
Nella misura in cui tali obblighi intercettano competenze e prerogative proprie degli enti territoriali, questi ultimi sono tenuti a garantirne l’attuazione.
Sotto quest’ultimo profilo, occorre infatti precisare, con riferimento anzitutto alle Regioni, che la stessa Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto una valenza extraterritoriale alle competenze delle Regioni stesse, che, in quanto enti politici e a fini generali, possono perseguire gli interessi della propria comunità di riferimento anche oltre i propri confini amministrativi (v. C. Cost. n. 276/1991).
L’art. 117 comma 2, lett. a) Cost., per come modificato dalla l. cost. n. 3/2001, rimette infatti certamente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la politica estera, i rapporti con gli altri soggetti dell’ordinamento internazionale inclusa l’Unione europea, ma le Regioni e gli stessi enti locali non vi sono del tutto estranei.
E ciò è quanto discende, innanzitutto, dal riformato art. 114 Cost., che riconosce ormai a tutti gli enti sub-statali – Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni – la natura di enti costitutivi della Repubblica in una condizione di parità con lo Stato medesimo. D’altronde, è lo stesso art. 117, comma 9 a riconoscere un vero e proprio potere estero in capo alle Regioni, titolari, anche secondo la stessa Corte costituzionale, di una propria legittimazione se non di una vera e propria soggettività di diritto internazionale al pari dello Stato (C. Cost. sentt. nn. 238/2004 e 258/2004).
É del resto, ancora, lo stesso comma 1 dell’art. 117 a richiedere, sul piano legislativo, tanto allo Stato quanto alle stesse Regioni il rispetto della Costituzione – qui basterebbe richiamare l’art. 11 Cost. –, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e di quelli discendenti dagli obblighi internazionali. A ciò si aggiunga che il successivo comma 5 richiama, di nuovo, le Regioni all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali; dovere che opera tanto a livello legislativo quanto, di conseguenza, sul piano più strettamente amministrativo.
Sotto questo profilo, pertanto, si pensi anche solo alle ricadute che il rispetto degli obblighi internazionali prima descritti potrebbe e dovrebbe produrre nelle materie di competenza legislativa concorrente (tra Stato e Regioni) individuate dall’art. 117, comma 3 Cost., come, fra le altre, i rapporti internazionali delle Regioni; il commercio con l’estero; la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi.
Il rispetto e l’attuazione delle norme internazionali, d’altro canto, sono doveri cui sono tenuti anche gli stessi enti locali, secondo quanto previsto già dall’art. 2 del d.lgs. n. 112/1998.
Anche la c.d. Legge La Loggia, l. n. 131/2003, attribuisce, del resto, all’art. 6 u.c., un potere estero, sia pure più circoscritto, a Comuni, Province e Città metropolitane, ammettendo che anche questi enti possano svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro attribuite.
E cosa debba intendersi per attività di mero rilievo internazionale è aspetto già chiarito dalla Corte costituzionale sin dalla nota sent. n. 179/1987, che ne ha riconosciuto la natura di catalogo aperto.
A titolo perciò meramente esemplificativo vi possono rientrare tutte quelle attività già elencate nel d.p.r. 31 marzo 1994, nonché quelle ulteriori che potrebbero essere identificate dalle stesse autonomie locali con la sola eccezione della stipula di veri e propri accordi internazionali.
Tra le attività di mero rilievo internazionale – a norma del d.p.r. ora citato – possono quindi essere menzionate quelle concernenti:
Va da sé, pertanto, che rispetto ad esse gli enti territoriali possono anche decidere di assumere una condotta omissiva, ovvero rifiutarsi di porre in essere rapporti internazionali di questo tipo quando sia coinvolto, a vario titolo, lo Stato di Israele.
Pertanto facciamo appello affinché Regioni ed Enti locali, nell’alveo delle proprie competenze: